La chantilly

Un momento di dolcezza può costare caro.

Vi è mai capitato di desiderare una torta – anche una semplice tranquilla crostata di frutta, fresca in una calda sera d’estate – con la stessa violenza con la quale si può desiderare una donna? O una donna potrebbe desiderare un uomo? A me, sì.

Però il medico me l’aveva tassativamente vietato: “Il suo colesterolo… la glicemia… sa, dopo un infarto… No, neanche un cioccolatino, sarebbe il biglietto di sola andata per la terapia intensiva”; e così fui costretto, per tutta la serata di gala nella villa che zio Gustavo aveva noleggiato per l’ottantesimo compleanno, a vedere torte passarmi davanti agli occhi e doverle rifiutare. “Prendi, è buona, questa al cioccolato l’ho fatta io” mi diceva zia Bettina, la padrona di casa. “Uhm, senti questa con la panna; che bontà” mi tentava zio Felice nei cui occhi vedevo baluginare la malcelata aspettativa di Caron Dimonio, smanioso di imbarcarmi sul suo traghetto. Ma io, impavido, lottavo contro la fame, contro la voglia, contro la gola, contro la cortesia: “No, grazie, proprio non posso.” Vero; ma quanto pesa la verità quando ti si accanisce contro! Se una crema pasticciera saporosa, adagiata con nonchalance tra due strati di pasta sfoglia come una bella donna che ti aspetta tra i guanciali morbidi del letto preparato per l’amplesso, svanisce come una visione in un sogno, come fai a non urlare di rabbia e di dolore?

E così facevo io, implorando pietà al mio inflessibile stoicismo, che mi faceva gli occhi truci se l’acquolina mi sbavava fin sul colletto della camicia, che mi bacchettava sulle dita se mai osavo avvicinare la mano a un vassoio, che mi annebbiava la vista al passaggio di un bignè o di un bombolone alla crema.

Confesso di aver pianto senza ritegno nel profondo delle viscere, inginocchiato supplice ai piedi della mia forza di volontà. Imploravo e lei non cedeva: un biscotto, uno solo, concedimi almeno quello senza zucchero, è pure senza grassi, e senza mandorle, almeno fammene fiutare il profumo. Niente; irremovibile!

Ma la mia gola non accettò la sconfitta e si aggrappò disperata a una coppa di crema chantilly; che mi veniva offerta, dentro un calice di cristallo posato al centro di un vassoio d’argento, da una bella signora dal sorriso suadente. “Lei è Silvano, vero?” mi disse porgendomi pure un tovagliolo di lino bianco, finemente orlato a punto gigliuccio. “Io sono Linda, le piace? L’ho ricamato io.” Rimasi affascinato dalla grazia soave con cui mi mostrava – tratteggiato con punti vapore in un angolo del tovagliolo – il disegno di un bel fiore sul quale si posava un uccelletto tutto dolce e affettuoso. Da parte mia, notai che il profilo del fiore sembrava disegnare due occhi amabili, verdi cristallini e seducenti come quelli della signora gentile che mi stava dicendo “Prego, non mi dica di no”, e che l’uccelletto ammiccante mi assomigliava assai mentre cinguettando rispondeva alla mia dama “Grazie, volentieri!” Così accettai la chantilly, lasciando che Linda mi porgesse la prima cucchiaiata con squisita amorevolezza, e chiusi gli occhi per non distrarre il palato con altre sensazioni che non fossero il piacere cremoso della trasgressione. Finito che ebbi di svuotare la coppa, non permisi che l’incantesimo svanisse come un sogno al risveglio, perciò presi la mano che Linda non ritrasse, e da soli insieme lasciammo la compagnia festante.

La mia coscienza, però, se n’ebbe a male, mi coprì d’insulti e mi inseguì furiosa, mentre la chantilly mi afferrava per le coronarie e mi spegneva il cuore, tanto da trascinarmi dentro un lettino d’ospedale, duro e disadorno, dal quale non poté salvarmi nemmeno l’amorevole Linda.

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